Quanto conta per te la coerenza?

Un articolo di Katia Bovani

Immagino la risposta.

Ma ti sei soffermato a riflettere su cosa sia la coerenza?

Il termine deriva dal verbo latino “cohaerere” che, in italiano, significa “essere unito a”.

Quindi, due cose ( elementi, circostanze, fatti) sono  “coerenti” quando tra loro sussiste un legame di unione, di connessione. In altre parole, per quanto stretta possa essere la loro  congiunzione, i due elementi  rimangono entità separate e, dunque, non sovrapponibili.

Non a caso, la formula del “principio di impegno coerenza” teorizzato dallo psicologo americano Robert Cialdini, si base sulla naturale tendenza dell’uomo a rimanere coerente rispetto a ciò che ha detto o fatto in precedenza.

 I suoi comportamenti futuri sono strettamente legati a quello assunto in precedenza e preso a modello.

In un campo lontano dalla psicologia, ovvero quello del diritto, il “meccanismo di coerenza” è stato introdotto dall’art. 63 del famoso ( e anche un po’ famigerato) GDPR il quale prescrive che in ogni Stato dell’UE si formino autorità di controllo deputate a verificare che i comportamenti interni allo Stato siano “coerentI” al Regolamento generale sulla protezione dei dati nell’Unione Europea.

Dunque, anche in questo caso esiste un modello di comportamento cui il singolo contegno concreto deve essere strettamente congiunto.

I due esempi di “coerenza” appena ripercorsi hanno in comune un elemento: il modello cui connettersi è qualcosa di “dichiarato” a prescindere dalle modalità di formalizzazione verbale o scritta.

Ben diverso è il concetto di “congruenza”.

La sua etimologia ci parla di un verbo latino, “congruere”, che significa “coincidere, corrispondere esattamente”.

Infatti, il “principio di congruenza” formulato nella geometria piana stabilisce che due figure sono congruenti quando sono “sovrapponibili” tra loro mediante una rotazione o una traslazione rigida.

Se ne desume che “essere coerenti” significa essere strettamente legati a qualcosa che si è dichiarato, mentre “essere congruenti” vuol dire “essere sovrapponibili punto per punto” .

Portiamo i due concetti sul piano etico-morale.

Nulla vieta che, nel futuro, io possa rimanere coerente a una decisione che ho preso qualche anno addietro in un determinato contesto solo perché quella decisione era giusta, corretta oppure rappresentativa di un valore positivo.

Nulla lo vieta, certo, ma, poiché il contesto è soggetto a mutamento e io con lui – cosicché ne rimango influenzata e lo influenzo a mia volta- , rimanere coerente mi espone o al rischio  di sclerotizzarmi in comportamenti inadeguati e/o anacronistici oppure ( peggio ancora ) al rischio che la decisione cui mi attengo può non essere più rappresentativa di un valore.

Ad esempio, la schiavitù negli Stati Uniti del sud era considerata coerente alla dichiarazione di valore  “dare a Cesare quel che è di Cesare”, ma dinanzi a una coscienza sociale profondamente mutata e progressista, la schiavitù è stata abolita in quanto espressione di abiezione.

“Essere congruenti punto per punto” sul piano etico significa essere fedelmente sovrapponibili a una traccia originaria.

E allora, la domanda è questa: è preferibile rimanere coerenti ai valori che abbiamo dichiarato oppure essere congruenti con ciò che siamo? Cosa ne pensi?

Katia Bovani