Il fine giustifica i mezzi?

Confesso che questa mia riflessione è stata innescata dall’attuale scenario politico in Spagna, dove il Presidente sta scendendo a patti “discutibili” per preservare la sua carica e il suo potere. Ma non voglio parlare di politica, in realtà questo fatto ha scattato in me un collegamento automatico fra ciò che avviene in politica e le dinamiche del mondo degli affari. 

Chi non è mai stato vittima di un “tradimento” nella sua vita professionale oppure ne è rimasto coinvolto? Chi non ha mai subito una ingiustizia, un danno diretto o indiretto a causa di qualcun altro che invece otteneva un beneficio personale?

La mia intenzione è esplorare queste connessioni, mettendo in luce le decisioni e le azioni nel contesto aziendale. 

Se ci fate caso, quando si pronuncia questa frase, il fine giustifica i mezzi, il concetto viene utilizzato come pretesto per giustificare comportamenti maligni e poco etici. Chi la difende la sfrutta come via d’uscita morale per comportamenti che, analizzati da vicino, potrebbero far storcere il naso anche al più tollerante degli osservatori.

Tornando alla domanda iniziale, dunque, la mia risposta è NO. Il mio disaccordo con questa massima nasce dalla domanda: “Qual è il fine?” E, ancora di più, “A quale costo?” Perché, vedete, non credo che tutti i fini siano nobili, positivi e men che meno benintenzionati. Ci sono obiettivi personali, egoistici, a volte persino malvagi, che si celano dietro a questa dichiarazione.

Se qualcosa è giusta, non ha bisogno di “giustificazione, se qualcosa è ingiusta, è ingiusta. Come può diventare giusta per interessi personali o del momento?

Ma ecco il punto: possono davvero certi mezzi essere giustificati in nome di un fine? Non sarebbe più corretto chiedersi se quel fine stesso sia etico? Se la meta giustificasse i mezzi, allora dovremmo anche (prima ancora) domandarci se quella meta stessa sia degna di essere raggiunta.

 Aggiungo a questo punto, una frase che ho letto e che mi ha colpito nella sua semplicità; l’ha detta un sacerdote cattolico e, al di là delle considerazioni religiose, viene al caso: “Non basta fare il bene. Ma occorre farlo bene. Perché anche il bene, se fatto male, è male”

Penso che esista una sorta di bilancio universale, una legge di compensazione cosmica, in cui ogni azione negativa, cattiva o egoistica ha il suo prezzo. E c’è una verità intrinseca in questa prospettiva: le azioni dannose, alla fine, trovano il riequilibrio nell’ordine naturale delle cose.

Conoscete la legge della semina e del raccolto amplificato?  È semplice, da un solo semino di pomodoro raccoglieremo decine di frutti… ecco, ciò che coltiviamo in termini di azioni negative può, con il tempo, riversarsi su di noi in proporzione maggiore. 

Il mio è un richiamo a riflettere sulle energie che portiamo nel mondo (anche nel mondo degli affari), poiché le conseguenze possono superare di gran lunga ciò che inizialmente seminiamo.

Tradire, rubare, ingannare, danneggiare, calpestare, distruggere… mai potranno essere rese giuste da nessun fine personale ed egoistico. Parlo del contesto professionale, ma potrei parlare di qualunque contesto.  

Forse è giunto il momento di abbracciare l’idea che il fine e i mezzi dovrebbero entrambi risplendere di eticità. 

Che ne pensate?

Ana M. Alvarez