“Il migliore dei maestri è l’esempio”

Di mio padre ho imparato tante cose. Una delle più importanti è che i problemi sono in realtà occasioni che possiamo trasformare in opportunità e altra, ancora più importante: che mai è troppo tardi per diventare ciò che vogliamo essere. Questi due insegnamenti li imparai di un colpo solo, grazie a un episodio che successe quando ero ancora piccolina.

Avevo 6 anni quando mio padre venne licenziato. Me ne accorsi quando un giorno me lo trovai all’uscita di scuola che mi aspettava. Quell’attimo in cui lo vidi è rimasto impresso nella mia memoria: con un sorriso discreto mi venne incontro e mano nella mano tornammo a casa. Restai sorpresa, a dir poco, di quella novità. Ero felice, ma allo stesso tempo intuivo che qualcosa non andava per il verso giusto. Non era mai successo prima da allora che lui venisse a prendermi a scuola e non perché non avessi voluto, ma perché i suoi orari lavorativi non glielo permettevano.

Sgobbava più di 12 ore al giorno in una fabbrica fuori mano, dall’altra parte della città e dunque, era costretto a partire prestissimo la mattina, con il pranzo al sacco, per non tornare fino alla sera, talvolta giusto in tempo per rimboccarmi le coperte prima di andare a nanna. A quel gesto affettuoso mai mancava…

Lavorava duro mio padre (come lo faceva mia madre) un po’ perché non sapeva fare diversamente da che aveva iniziato, all’età di 7 anni, segando palme nei campi; ma anche e soprattutto perché aveva ben 5 figli da mantenere! Quel licenziamento a 50 anni suonati, come si può bene immaginare, fu un duro colpo per lui e per tutta la famiglia. Ora lo so e comprendo la preoccupazione che doveva avere, anche se in quel momento non me ne resi realmente conto, dato che lui non si lasciava sfuggire nessuna lagna, nessun lamento. 

Passarono poche settimane, grazie alle sue conoscenze ci mise poco a trovare un altro impiego, che però non gli piaceva affatto, si trattava di saldare le navi nel porto. Forse fu questa insofferenza quella che lo portò a mettersi in discussione e ad ascoltare una vocina che dentro la sua testa gli suggeriva una idea azzardata (per lui tanto azzardata! Era uomo di grande prudenza) … Da che era giovanissimo, la professione che sempre aveva voluto fare era quella di calzolaio. A ognuno le sue passioni e la sua erano le scarpe. 

Per farla breve, pochi mesi dopo iniziare a lavorare da saldatore, decise di licenziarsi per provare a realizzare il suo sogno. C’è da dirla tutta, la spinta di coraggio finale gliela diede mia madre, la quale una sera a tavola gli disse che “ora o mai più”, che lei l’avrebbe aiutato a cercare un locale adatto e avrebbe lavorato, se fossi stato necessario, cucendo, pulendo o cucinando fuori casa mentre il negozio ingranava.

Detto e fatto! Ricordo mia mamma trattando con il proprietario del locale per farsi abbassare l’affitto, loro due (con me dietro) che, felici e increduli dell’affare, acquistavano da un vecchio calzolaio andato in pensione, tutti gli attrezzi del mestiere… 

Erano gli anni 80 e dopo tante peripezie, una vita da operaio mal pagato, tante fatiche e sacrifici per tirare avanti la famiglia, lui finalmente faceva quello che sempre aveva voluto fare. Era diventato calzolaio.

Mio padre era un artigiano coscienzioso, riparava le scarpe a mano, alla vecchia maniera. Tutto aveva il suo rituale. Amava quel suo piccolo angoletto di mondo, dove lavorava a testa bassa, ma sempre fischiettando.

Ricordo che aveva messo due sedie di fronte al suo banchetto pieno di attrezzi. Era un invito tacito per i clienti, molti dei quali avevano preso l’abitudine di fermarsi a fare due chiacchiere con lui e tante volte restavano ore a guardare come cuciva, incollava, lucidava. Era bello vederlo all’opera. Anch’io lo facevo spesso, mi sedevo e passavo delle ore lì a osservare la sua arte. Arte, sì, perché il lavoro, quando si fa con Amore, diventa Arte. 

Anche questo l’ho imparato dal mio umile, quanto meraviglioso padre.

Ana M. Alvarez